La sfida degli antibiotici

Dalla ricerca italiana una nuova speranza per antibiotici più efficienti

L’antibiotico resistenza è ormai un problema di sanità pubblica a livello globale: provoca 33mila morti l’anno in Europa, un terzo dei quali nel nostro Paese

La sfida degli antibiotici

La crescente resistenza dei batteri agli antibiotici è un problema di sanità pubblica a livello globale, ma in Italia la sfida è più pressante che altrove: nel nostro Paese infatti la resistenza agli antibiotici è tra le più elevate in Europa. Si stima infatti che ogni anno in Europa le infezioni da batteri resistenti provochino 33.000 morti, e l’Italia è il Paese che maggiormente contribuisce a questo triste primato con oltre 10.000 decessi, circa un terzo del totale. Proprio dalla ricerca italiana nasce però adesso una nuova speranza, attraverso un lavoro di ricerca appena pubblicato su Nature Communications.

Lw molecole che uccidono i batteri

Lo studio, frutto di una collaborazione internazionale tra l’Istituto officina dei materiali del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Iom), le università di Cagliari e di Oxford e il Centre national de la recherche scientifique (Cnrs), spiega il meccanismo molecolare con cui aggirare l’antibiotico-resistenza di uno dei quattro batteri più pericolosi del mondo – Pseudomonas aeuroginosa – secondo la classifica dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).

«La difficoltà non è identificare le molecole capaci di uccidere i batteri, quanto quella di renderle capaci di raggiungerli, penetrandone la membrana esterna – dettaglia Matteo Ceccarelli, del Cnr-Iom – La membrana di alcuni batteri è particolarmente spessa e affinché l’antibiotico raggiunga il batterio è necessario trovare dei varchi». Ma una possibile via di ingresso è stata svelata nei suoi aspetti molecolari dal nuovo studio. «Si immagini la spessa membrana che protegge il batterio come un muro con una serie di porte e finestre: sono chiuse, ma esiste una chiave per aprirle. In questo caso la porta è un recettore dal nome PfeA e la chiave si chiama Enterobactin – prosegue Ceccarelli – Il recettore PfeA è una proteina di membrana che si trova sullo strato più esterno del batterio e che ha il compito di lasciar passare le molecole che trasportano il ferro all’interno. La chiave di questa serratura per aprire la porta che fa passare il ferro, nel caso di PfeA, si chiama Enterobactin. Il trucco sta nel legare a questa molecola non solo il ferro ma anche il nostro antibiotico, cosicché i recettori PfeA vengano ingannati e lascino passare anche il farmaco attraverso la membrana».

La soluzione

L’antibiotico resistenza, che secondo l’Oms uccide 700mila persone l’anno, è oggi un problema rilevante anche per le case farmaceutiche, che faticano a sintetizzare nuovi prodotti. Gli antibiotici già esistenti non funzionano più, perché i batteri hanno imparato a riconoscerli e per sconfiggerli bisognerebbe usare dosi tossiche per l’uomo. Per questo il consorzio pubblico di ricercatori scienziati dell’Imi, un’iniziativa dell’Ue che si occupa di medicina innovativa, ha avviato una ricerca nell’ambito di un più ampio progetto europeo per affiancare le case farmaceutiche nella soluzione di problemi di questo genere.

Per arrivare a soluzioni davvero efficaci sarà però necessario tenere in debito conto anche il ruolo che l’inquinamento esercita nella diffusione dell’antibiotico resistenza: «L’aumento della resistenza agli antimicrobici legata allo smaltimento dei medicinali e di alcuni prodotti chimici nell’ambiente è una della minacce più preoccupanti per la salute», ha sottolineato recentemente in proposito l’Unep, il Programma Onu per l’ambiente.

Fonte: www.greenreport.it.